Promuovere l’arte e la cultura, soprattutto quella nascosta e meno nota, attraverso internet e i social media, organizzando una rete di eventi in tutta Italia: blogger, instragramers, videomaker e social media user insieme per invadere musei, gallerie, fondazioni e liberare la cultura. Il progetto #invasionidigitali (ideato da Fabrizio Todisco, il gruppo di travel blogger #iofacciorete di cui faccio parte, Officina Turistica, Instagramers Italia e l’Associazione Nazionale Piccoli Musei) mi ha conquistata fin da subito. Da un piccolo gruppo con una grande idea, l’iniziativa si è trasformata in un grande progetto con una forza contagiosa.
Il progetto di Invasioni Digitali per valorizzare il patrimonio artistico
Per valorizzare la mia Regione, il Friuli Venezia Giulia, ho scelto una piccola ma affascinante realtà per organizzare la mia invasione: il Museo di Arte Cucinaria in Alto Livenza di Polcenigo. Il suggerimento me l’ha fornito un caro amico e blogger, Alberto Rosa, che ha condiviso con me questa particolare esperienza.
Come purtroppo succede spesso in Italia, grandi patrimoni storici, artistici e culturali vivono nell’ombra e solo grazie al lavoro volenteroso di un gruppo di appassionati riescono a esistere e a tenersi in vita. E’ il caso di questo Museo di arti e mestieri, unico in Italia nel suo genere, che racconta la grande tradizione culinaria ma anche la grande esperienza di vita degli chef formatisi nella zona dell’Alto Livenza. Emigrati in tutto il mondo e imbarcatisi nelle grandi navi da crociera, questi professionisti hanno diffuso il proprio sapere imbandendo con la propria “arte culinaria” le tavole prestigiose di mezzo mondo.
Museo di Arte Cucinaria in Alto Livenza
Una sapienza fatta di grandi sacrifici, costruita anno dopo anno sul campo, come quella di Giovanni Fabbro, lo chef che ci ha accompagnato nella visita del Museo assieme ad alcuni preziosi collaboratori. Ha iniziato a cucinare a 13 anni e non ha più smesso, diventando un punto di riferimento per la cucina internazionale fino a ricevere un paio di anni fa la fascia di Escoffier, un’onoreficenza riservata a davvero pochi eletti.
Eppure la sua semplicità è disarmante, tanto quanto la sua passione nell’aprirci le porte di questo piccolo scrigno di tesori: all’interno del Museo una ricca collezione di documenti, lettere, menu, fotografie e attrezzi da cucina che narrano a tappe la storia di questi ambasciatori della cucina italiana e dell’Alto Livenza nel mondo e degli hotel e ristoranti che questi artisti con la loro “ars coquinaria” (da qui il termine “cucinaria”) hanno contribuito a rendere celebri.
Gli chef della pedemontana, a partire dal 1990 anno di fondazione del Museo, hanno riposto qui la loro collezione di attrezzi, alcuni davvero pregevoli e di antica fattura, i libri di ricette e le fotografie dei momenti più importanti della carriera. Qui si trova una collezione di ricettari minuziosamente raccolti risalenti anche agli anni ’20 del Novecento, quando ancora i menù erano in francese. Degli autentici tesori.
Sicuramente è emozionante pensare a tutto il lavoro, la cura e l’impegno celato dietro questi piccoli documenti. E’ facile tornare con la mente indietro nel tempo e provare a immaginarsi seduti in una grande sala elegantemente imbandita mentre le pietanze, sapientemente preparate, vengono adagiate sulle tavole.
Le fotografie di grandi eventi di gala con personaggi illustri e famosi e le immagini delle eleganti cene servite a bordo delle navi da crociera contribuiscono a raccontare storie di successi, grandi conquiste e primati raggiunti dagli artisti della cucina formatisi proprio qui, nell’Alto Livenza, dove ancora oggi le scuole di cucina rappresentano un punto di riferimento nel settore.
Non mancano i grandi personaggi, quelli che fanno la storia e si rendono protagonisti di aneddoti che si tramandano negli anni, come Giuseppe Cipriani, lo storico fondatore dell’Harry’s bar di Venezia. Come ci ha raccontato Giovanni, lo chef diede vita a un piatto divenuto celebre: il carpaccio. Cipriani era amico della contessa Mocenigo la quale non poteva mangiare carne cotta per problemi di salute. Lo chef pensò allora a un modo per preparare la carne cruda e, preso un filetto dal frigorifero lo tagliò a fette sottili e lo guarnì con sale, pepe e olio e una crema a base di maionese.
Il colore della carne ricordò allo chef il colore di alcuni quadri del Carpaccio esposti in una mostra proprio in quei giorni. Ecco che allora il piatto prese il nome di carpaccio.
La visita a questo museo è stata un’inaspettata scoperta che ho potuto fare grazie al progetto #invasionidigitali. La testimonianza che l’arte, in tutte le sue forme, è una scuola di vita e sa ancora emozionare.
Per scoprire di più su questo museo, una tappa fondamentale per cuochi, food blogger e amanti della storia della gastronomia, potete consultare il sito.
Se volete saperne di più sul progetto #invasionidigitali visitate il sito ufficiale.